Mino Trafeli e il design come provocazione (ottobre 2019)

Mino Trafeli e il design come provocazione (ottobre 2019)

Guardare l’arte negli oggetti e gli oggetti nell’arte è il sottotitolo dell’intervento che ho presentato a Volterra il 19 ottobre 2019 nella giornata dedicata al mio maestro Mino Trafeli. Lui artista, io designer: due mondi, l’arte e il design, apparentemente distinti ma non poi così distanti, almeno nella mia esperienza.

Sono stato allievo di Mino Trafeli all’Istituto d’Arte di Volterra negli anni 1956-1961. Era il mio insegnante di Disegno professionale, disciplina che consisteva nella progettazione di oggetti in alabastro. In quel tempo egli era reduce dalla realizzazione del Monumento al partigiano di Pomarance, che ricordo di aver visto esposto in gesso nelle logge del Palazzo dei Priori.
Il concetto di design in me è sempre stato mutuato dalla curiosità verso le lavorazioni artigianali. Ad esempio nelle vicinanze delle vigne è sempre presente il salcio, albero dai caratteristici rametti rossi, flessibili, usati dai contadini per legare i tralci delle viti e per realizzare oggetti d’uso come i cesti.  E questo è un importante esempio di progettualità anonima, che si ripete di generazione in generazione attraverso un passaparola fatto di esperienza diretta e di ottimizzazione dell’uso dei materiali a disposizione: un vero ”no name design” ante litteram.
Allo stesso modo si può rintracciare un filo conduttore con il passato sbirciando tra gli oggetti domestici in uso, che legano la saggezza popolare degli antichi a quella odierna: le spille da balia presenti nelle abitazioni di ciascuno di noi ne sono una valida testimonianza.

Ricordo di Mino un soffitto luminoso da lui realizzato per la mostra-concorso dell’alabastro alla fine degli anni ’50, esposto nei locali della scuola elementare di S. Lino. Quel soffitto era costituito da una struttura metallica reticolare, a maglie triangolari e pannelli in alabastro, il cui effetto tridimensionale era del tutto analogo ad una cupola geodetica come oggi si può vedere nella copertura della Fiera di Rho a Milano, di Massimiliano Fuksas. In questo caso l’artista Trafeli si è vestito con gli abiti del design: ha considerato la funzionalità, i materiali, la modularità, le possibili aperture commerciali di un vero progetto industriale.
Il percorso torna in campo strettamente artistico col tema dell’impossibilità sviluppato da Mino negli anni ’70. Penso a questo riguardo alla serie delle ‘Scarpe impossibili’.
Riprendendo il tema caro alle provocazioni dadaiste culminate nel Cadeau di Man Ray, ora che la scarpa entrava nel circuito internazionale dell’alta moda come simbolo di lusso ostentato fino all’esasperazione (penso alla scarpa cult di Ferragamo, la celebre Zeppa) Mino la riduceva a oggetto inutile, impossibile da calzare, giocato sul ‘negativo’ che ne impedisce la funzionalità, vera sua ragion d’essere.  

Che dire della sedia Cesca che simboleggia il tempio del design, il Bauhaus degli anni eroici di Dessau e di Breuer, che Mino ha ridotto a larva, scheletro, che ha manomesso con risoluta determinazione fino a farne un ectoplasma, una non-vita che pure da essa scaturisce?
La sedia è la sintesi più rappresentativa del fare design: Mino l’ha qui disintegrata in modo sfacciato e iconoclasta.

Chiudo tornando all’arte. La serie delle ‘Radici’ mi è particolarmente cara, non solo perché ho assistito in prima persona alla sua nascita tra la fine degli anni ’50 e gli inizi del decennio successivo. Qui c’è il tema quasi profetico del recupero degli oggetti di scarto: vecchi tubi di ferro, tronchi di legno, particolari metallici non più usati.  Anziché finire in discarica, Mino raccoglie questi resti, li recupera, li illumina di nuova luce e ne ricava lastre artistiche, formelle animate da una vitalità primigenia sulle quali la sua manualità plastica, da vero etrusco rinato, si esalta ed esalta. Ammiro queste opere, che mi ricordano la drammatica esperienza pittorica di un Pollock intento a sgocciolare barattoli di colore per strappare il limite bidimensionale alla tela.  Non è estraneo ad entrambi l’esperienza appena passata della seconda guerra mondiale, che ha lasciato un’Europa e un occidente lacerato alla ricerca di un nuovo domani.
Io e Mino (ottobre 2017)

No Comments

Post A Comment